la casa dei nonni - parte seconda

Il piano superiore era la “zona notte”: due camere da letto, il bagno, un corridoio e l’accesso alla soffitta.
Il corridoio era giusto un’area di collegamento tra i vari vani; a forma di L, terminava con un angoletto cieco in cui c’era un grande specchio, a figura intera, forse l’unico che avessi mai avuto modo di vedere in una casa privata nella mia infanzia.
Non ho mai amato la mia figura riflessa (non ho mai amato le foto, nessuna riproduzione di me stessa, in pratica. Cosa abbastanza normale per chi non ha una gande autostima). Di conseguenza detestavo lo specchio in questione e spesso giocavo a passare dalla camera mia a quella dei nonni cercando di non essere catturata dalla sua infame cornice!
Più o meno sopra allo specchio, si trovava la botola per andare in soffitta.
Mai vista, mai frequentata, non ho idea di cosa nascondesse, ma non ne ho nemmeno mai sentito la curiosità per indagare sul posto in questione. Come se quella zona non fosse degna di attenzioni.
La prima stanza salendo le scale era la mia camera. MIA… ovviamente era la stanza dove venivano ospitati tutti i nipoti in visita dai nonni, ed eventualmente anche altri ospiti.
In origine era la camera da letto di mia madre e sua sorella, rimasta poi solo alla zia, quando mia madre si sposò, poi, appunto, camera degli ospiti. CAMERA MIA!!
L’arredamento era molto da ragazza, avendo ospitato prima ben 2 ragazzine, poi una solamente. Forse è anche per questo che la sentivo tanto mia. NON CERTO per la mia PICCOLISSIMA mania di diritto di esclusiva sulla nonna e tutto ciò che la riguardava, nooo, certo che no!
Molti dei mobili che erano in quella stanza, quando la casa fu venduta, divennero proprio i mobili della mia cameretta a casa mia.
La stanza dava sul davanti della casa, che si affacciava su una strada allora molto traffcata, anche di notte.
Io vivevo, invece, in una stanzetta molto tranquilla, la cui finestra si affacciava sul corridoio tra due case. Di notte da lì entravano pochissimi rumori e nessuna particolare luce.
Invece, a casa dei nonni, nella MIA stanza, potevo inventare gli incubi più incredibili, grazie alle luci delle auto che entravano, si arrampicavano su per i muri, percorrevano tutto il soffitto e sparivano giù per l’altro muro.
Ho sempre sofferto di insonnia e questo gioco di rumori di motori e riflessi di fanali ha contribuito tantissimo a solleticare il lato horror della mia fantasia. Magari anche loro sono elementi che hanno contribuito  a creare il lupo che infestava il divano della sala sottostante…
Dormire a casa della nonna era, per me, una gran festa. Un po’ perché mi toglievo di torno i fratelli piccoli, un po’ perché io vivevo in adorazione di mia nonna e di tutte le cose meravigliose che erano rinchiuse nella loro casa.
La camera dei nonni era, penso, una tipica camera matrimoniale del dopo guerra: il letto, attorniato dai due comodini, un comò, un armadio... il tutto in legno di noce, che creavano una luce austera nella stanza.
Non mi era permesso di entravi senza la presenza degli adulti. E ricordo poche occasioni in cui sia entrata lì. Forse quando la nonna aveva mal di testa…
Poi c’era il bagno. Di quella stanza ricorderò per sempre due cose: il profumo di talco spuma di sciampagna che permeava ogni angolo di mobile, ogni asciugamano, ogni cosa con la sua fragranza. Al punto che per me Spuma di Sciampagna è il profumo di mia nonna. Ho scoperto, parlando con i miei fratelli, che per loro è la stessa cosa. Quel talco “è la nonna”.
Poi con il tempo ho realizzato che molte nonne di quell’epoca venivano identificate con il talco, spessissimo proprio con Spuma di Sciampagna. Doveva avere una grandissima diffusione ai tempi.
L’altro elemento mitico dei nonni era… il doccino del bidet! Il loro sanitario era dotato di un doccino posizionato al centro del fondo, in modo che, azionandolo, ci si potesse meglio lavare certe parti difficili da raggiungere.
Ma a dei ragazzini come noi, poco interessava il reale utilizzo del meraviglioso getto d’acqua! Il bello era vedere quanto in alto poteva arrivare.
Ovviamente questo era un gioco vietato… ma vi posso assicurare che il getto raggiungeva il soffitto!!!!
Deve essere stata una delle poche volte in cui mi sono presa una sgridata dalla nonna… chissà perché.

Tornando al piano terra, in fondo al corridoio si apriva una porta su quella che tutti chiamavamo “sala”; in pratica la casa dei nonni aveva due sale: quella da ricevimento per le persone di riguardo e la sala di uso più comune, quella in cui facevamo l’albero di Natale e in cui ci era anche permesso giocare.
Non era sempre stata così: la situazione che descrivo, quella in cui lasciammo la casa, era il frutto di cambiamenti avvenuti nel tempo. Io ne ho vaghi ricordi, molto confusi, per cui non ci provo neanche a ricordare come fosse primaa.
A sinistra una sala, con la credenza che conteneva le stoviglie del servizio buono, a destra un salottino con due poltrone, molto intimo.
In questi due ambienti ci era permesso giocare a Natale: in pratica, il giorno di Natale aprivamo nella stanza i regali e lì ci giocavamo; decisamente una soluzione più comoda anche per gli adulti per non avere giocattoli tra i piedi nella stanza successiva, il soggiorno, dove veniva imbandita la tavola delle grandi occasioni.
Sarà perché qui si faceva l’albero di Natale e sarà perché per me era l’unico vero abete (a casa mia c’era già in plastica), ma quella sala nel mio immaginario odorerà sempre di abete.
L’albero di Natale toccava a me farlo, qualche volta con l’aiuto dei fratellini e del cuginetto. Il presepio era TUTTO MIO.
Per fare il presepio, il nonno smontava una delle porte di una stanza della cantina, poi mi aiutava a ricoprirla tutta con la carta marmorizzata, impegnandoci tantissimo nel nascondere il pomello della porta stessa, perché non aveva alcuna ragione una maniglia nel bel mezzo della rappresentazione sacra.

ma... sono fnita a parlarre del Natale! ma questo è un altro argomento! facciamo che interompo qui e riprendo un altro giorno!

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